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Riporto qui di seguito la traduzione di questo articolo perché chiunque si trovi ad affrontare il problema coscienza ne troverà prima o poi  menzione.

 Di solito quello che si legge riguardo a questo articolo, scritto nel 1974,  è che alla domanda “cosa si prova ad essere un pipistrello?” Nagel risponde che non lo sapremo mai.

Se leggerete l’articolo però, scoprirete che questa è solo una descrizione parziale della conclusione di Nagel. In realtà Nagel fa un’analisi molto più approfondita e complessa di quanto si possa intuire attraverso questa semplice conclusione.

 Come dico, implicitamente, nella home page, non è mia intenzione inserire nel sito esclusivamente un elenco di tutto ciò che è possibile trovare in internet, altrimenti, mi basterebbe fare un collegamento alla home page di David Chalmers . E’ mia intenzione invece, riuscire anche a  trovare il maggior numero di pubblicazioni che avvalorino quanto da me ipotizzato riguardo la coscienza.

Questo articolo fa parte di questa schiera, non tanto per il significato che attribuisce al termine coscienza, quanto per come riesce ad inquadrare le relazioni tra soggettività e oggettività .

Personalmente non sono d’accordo nel far coincidere questo “provar qualcosa ad essere quell’organismo” con gli stati mentali coscienti, perché se è vero che può farlo un essere umano, non credo possa farlo un pipistrello, così come non sono d’accordo sul fatto che non si possa separare la soggettività dall’oggettività, per questo motivo, inserirò all’interno della traduzione (fra parentesi quadre) alcune mie considerazioni.

 

“WHAT IS IT LIKE TO BE A BAT?”

 “Cosa si prova ad essere un pipistrello?”

Thomas Nagel

( Articolo in inglese )

La coscienza è ciò che rende il problema mente-corpo veramente intrattabile. Questo accade forse perché le discussioni attuali sul problema, danno ad esso poca attenzione o lo considerano in modo sbagliato. La recente ondata di euforia riduzionista ha prodotto molte indagini dei fenomeni mentali e dei concetti mentali progettate per spiegare la possibilità di alcuni tipi di materialismo, identificazione psicofisica o riduzione. Ma il problema mente-corpo viene trattato con i metodi comuni di questo o quell’altro tipo di riduzionismo, gli stessi metodi usati per studiare il problema acqua-H2O o il problema della macchina di Turing-macchina IBM o il problema fulmine-scarica elettrica o il problema gene-DNA o il problema quercia-idrocarburo, e ciò che invece rende unico il problema mente-corpo viene ignorato.

Ogni riduzionista ha dalla scienza moderna la sua analogia preferita. E’ molto improbabile che qualcuno di questi esempi potrà mai fare luce sulla relazione tra mente e cervello. Ma anche i filosofi commettono l’errore di utilizzare termini familiari e di facile comprensione per ciò che sarebbe altrimenti incomprensibile utilizzando la terminologia adatta, nonostante il significato risulti essere completamente diverso. Questo ha permesso l’accettazione di rapporti non plausibili del mentale in larga parte perché essi consentirebbero generi conosciuti di riduzione. Io proverò a spiegare perché gli esempi conosciuti non ci vengono in aiuto per comprendere la relazione tra mente e corpo- perché in realtà noi non abbiamo al presente nessuna concezione di ciò che sarebbe una spiegazione della natura fisica di un fenomeno mentale. Senza la coscienza il problema mente-corpo sarebbe molto meno interessante. Con la coscienza sembra senza speranza. La più importante e caratteristica qualità del fenomeno mentale cosciente è scarsamente compresa. Le più importanti teorie riduzioniste non provano neanche a spiegarla. E un accurato esame mostrerà che non c’è al momento nessun concetto di riduzione applicabile a esso. Forse una nuova forma teorica può essere progettata per lo scopo, ma tale soluzione, se esiste, è lasciata nel distante futuro intellettuale.

L’esperienza cosciente è un fenomeno molto diffuso. Esso accade a molti livelli della vita animale, sebbene non possiamo essere sicuri della sua presenza negli organismi più semplici, ed è molto difficile dire in generale cosa ne procura l’evidenza (alcuni estremisti sono stati preparati per negarlo anche per mammiferi diversi dall'uomo). Senza dubbio accade in innumerevoli forme totalmente inimmaginabili a noi, su altri pianeti negli altri sistemi solari in ogni parte dell'universo. Ma non importa come la forma possa variare, il fatto che un organismo ha l'esperienza cosciente significa, fondamentalmente, che si prova qualcosa ad essere quell’organismo [Questo è il primo aspetto, cioè quello soggettivo fisico. Naturalmente se consideriamo questo aspetto far parte della coscienza dobbiamo affermare, come afferma Nagel che anche gli animali hanno esperienza cosciente. I limiti di questa visione della coscienza diventano evidenti però quando egli vuole porre una soglia al di sopra o al di sotto della quale questo tipo di esperienza non viene più provata]­. Ci possono essere ulteriori implicazioni sulla forma dell'esperienza; ci possono anche essere (sebbene io lo dubiti) implicazioni sul comportamento dell'organismo. Ma fondamentalmente un organismo ha coscienza degli stati mentali se e solo se si prova qualcosa ad essere quell'organismo—qualcosa prova per quell'organismo [ovviamente, questo “provare qualcosa” è da intendersi in senso fisico non nel senso che “capisco che sto provando”]. Noi possiamo chiamare questo il carattere soggettivo dell’esperienza.

Esso non è catturato da alcuna delle analisi riduttive del mentale conosciute, recentemente progettate, per tutte loro sono logicamente compatibili con la sua assenza. Esso non è analizzabile in termini di alcun sistema esplicativo di stati funzionali, o stati intenzionali, poiché questi potrebbero essere attribuiti a robot o automi che si comportano come persone nonostante non abbiano sperimentato niente. Per ragioni simili esso non è analizzabile in termini di ruoli di esperienza causali in relazione a comportamenti umani tipici. Io non nego che gli stati e gli eventi mentali coscienti causino il comportamento, né che loro possano avere caratterizzazioni funzionali. Io nego solo che questo genere di cose possa rendere esaustive le loro analisi. Qualsiasi programma riduzionista dev’essere basato su un’analisi di ciò che dev’essere ridotto. Se l’analisi lascia qualcosa fuori, il problema sarà falsamente impostato. E’ inutile basare la difesa del materialismo su delle analisi dei fenomeni mentali che non riescono a trattare in modo esplicito con l’aspetto soggettivo. Per cui non c’è motivo per supporre che una riduzione che sembra plausibile, quando nessuno tentativo è fatto per considerare la coscienza, possa essere estesa per includere la coscienza. Perciò, senza qualche idea di quello che è il carattere soggettivo dell’esperienza, non possiamo sapere ciò che  è richiesto da una teoria fisicalista. [Dal mio punto di vista, invece, il carattere soggettivo dell’esperienza dev’essere tenuto al di fuori dell’analisi oggettiva della coscienza perché la coscienza è solo oggettiva, soggettiva è invece, nel senso di elaborazione mentale personale, la consapevolezza]

Benchè una descrizione delle basi fisiche della mente deve spiegare molte cose, questa appare essere la più difficile. E’ impossibile escludere le qualità fenomenologiche dell’esperienza da una riduzione nello stesso modo che uno esclude gli aspetti fenomenici di una sostanza ordinaria da una riduzione fisica o chimica di esso -  cioè, presentandoli come effetti sulle menti di osservatori umani. Se il fisicalismo è stato definito, le qualità fenomenologiche sono esse stesse date a descrizioni fisiche [esistono però qualità fenomenologiche di origine fisica e qualità fenomenologiche di origine psichica]. Ma quando noi esaminiamo il loro carattere soggettivo sembra che tale risultato sia impossibile. La ragione è che ogni fenomeno soggettivo è essenzialmente collegato con un singolo punto di vista, e sembra inevitabile che una teoria fisica oggettiva abbandonerà quel punto di vista.

Lasciatemi tentare dapprima di esporre la questione in modo un po’ più completo facendo riferimento alla relazione tra soggettivo e oggettivo, o tra il pour soi e l’en soi. Questo è tutt’altro che facile. Gli elementi di cosa si prova ad essere un dato X sono molto speciali, così speciali che qualcuno potrebbe essere incline a dubitare della loro realtà, o il significato delle affermazioni su di loro. Per illustrare il collegamento tra la soggettività ed un punto di vista, e rendere evidente l'importanza delle qualità soggettive, sarà utile esplorare la questione in relazione ad un esempio che fa risaltare chiaramente la divergenza tra i due tipi di concezione, soggettiva ed oggettiva.

Io parto dall’assunto che noi tutti crediamo che i pipistrelli abbiano esperienze soggettive. Dopotutto, sono mammiferi, e non ci sono dubbi che loro hanno esperienza più di quella che potrebbero avere i topi o  i piccioni o le balene. Ho scelto i pipistrelli invece delle vespe o delle sogliole perché se uno si muove troppo lontano giù nell'albero filogenetico, si diffonde gradualmente l’opinione tra la gente che non c’è affatto esperienza soggettiva. I pipistrelli, seppur relativamente più vicini a noi di quelle altre specie, presentano pur tuttavia una gamma di attività ed un apparato sensoriale così diverso dal nostro che il problema che voglio porre risalta in modo chiaro (nonostante potrebbe essere certamente emerso con altre specie). Anche senza il beneficio di riflessione filosofica, chiunque abbia passato del tempo in uno spazio chiuso con un pipistrello eccitato sa cosa vuol dire incontrare una forma di vita fondamentalmente aliena.

Io ho detto che l'essenza della credenza che i pipistrelli abbiano un’esperienza soggettiva è che si prova qualcosa ad essere un pipistrello. Adesso sappiamo che la maggior parte dei pipistrelli (il microchiroptera, per essere precisi) percepiscono il mondo esterno principalmente per mezzo del sonar, rilevando le riflessioni da oggetti all’interno del un raggio di azione dei loro rapidi strilli di alta-frequenza abilmente modulati. I loro cervelli sono progettati per mettere in correlazione gli impulsi in uscita con gli echi successivi, e le informazioni così acquisite permettono ai pipistrelli di fare discriminazioni precise di distanza, misura, forma, movimento e struttura paragonabili a quelli che noi facciamo con la visione. Ma il sonar del pipistrello, nonostante sia chiaramente una forma di percezione, non è simile nelle sue operazioni a nessun senso da noi posseduto, e non c’è ragione di supporre che esso sia soggettivamente come qualcosa che noi possiamo sperimentare o immaginare. Questo sembra creare difficoltà per la nozione di ciò che vuol dire sentirsi un pipistrello. Dobbiamo vedere se qualche metodo ci permetterà di fare delle estrapolazioni dalla vita interna del pipistrello a partire dalla nostra situazione, e se no, quali metodi alternativi ci possono essere per raggiungere lo scopo.

La nostra esperienza fornisce il materiale fondamentale per la nostra immaginazione, dalla quale gamma è quindi limitata. Non aiuterà immaginare di avere una membrana sulle proprie braccia, che ci permetterà di volare girando intorno dal crepuscolo e all'alba prendendo gli insetti nella propria bocca; di avere una visione molto povera, e di percepire il mondo circostante per mezzo di un sistema di segnali di suono di alto-frequenza riflessi; e di passare il giorno capovolto per mezzo dei propri piedi in una soffitta. Anche se posso immaginare questo (che non è molto facile), esso mi dice solo ciò che vorrebbe dire per me provare ad avere un comportamento come quello di un pipistrello. Ma questa non è la domanda. Io voglio sapere cosa prova un pipistrello ad essere un pipistrello. Tuttavia se provo ad immaginare questo, sono limitato dalle risorse della mia mente, e quelle risorse sono inadeguate al compito. Io non posso compierlo né immaginando aggiunte alla mia esperienza attuale, né immaginando parti gradualmente sottratte da essa, né immaginando qualche combinazione di addizioni, sottrazioni, e modificazioni.

Anche se io potessi avere l’aspetto e comportarmi come una vespa o un pipistrello senza cambiare la mia struttura fondamentale, le mie esperienze non sarebbero in alcun modo come le esperienze di questi animali. D'altra parte, è molto dubbio che possa avere lo stesso tipo di esperienze per il solo motivo che posseggo la stessa costituzione neurofisiologica interna di un pipistrello. Anche se potessi essere trasformato in un pipistrello, per mezzo di stadi graduali, niente nella mia costituzione attuale mi permetterebbe di immaginare come sarebbero da me sentite le esperienze di tale futura trasformazione. La migliore evidenza verrebbe dalle esperienze dei pipistrelli, se noi solo sapessimo come sono.

Così, se nell'estrapolazione dal proprio caso, è possibile farsi l'idea di cosa si prova essere un pipistrello, l'estrapolazione rimane incompleta. Possiamo tuttalpiù formare una concezione schematica di ciò che si prova. Per esempio, possiamo attribuire dei tipi generali di esperienza soggettiva in base alla struttura ed il comportamento dell'animale. Così noi descriviamo il sonar del pipistrello come una forma avanzata di percezione a tre dimensioni in avanti; noi crediamo che i pipistrelli sentano alcune forme di dolore, paura, fame, e concupiscenza, e che loro abbiano inoltre, tipi più conosciuti di percezione oltre al sonar. Ma noi crediamo che queste esperienze abbiano anche in ogni caso una qualità specifica soggettiva, che è oltre la nostra capacità di concepire. E se c’è vita cosciente altrove nell'universo, è probabile che non sia descrivibile anche nei termini esperienziali più generali a noi disponibili (Il problema non è limitato ai casi più estremi, esso esiste comunque tra una persona ed un’altra. Il carattere soggettivo dell'esperienza di una persona sorda e cieca dalla nascita, per esempio, non è accessibile a me, né è presumibilmente la mia a lui. Questo non ci impedisce di credere che l'esperienza dell'altro possegga un carattere soggettivo).

Se qualcuno è incline a negare che possiamo credere nell'esistenza di fatti come questo, della quale esatta natura non abbiamo possibilità conoscitive, egli dovrebbe riflettere sul fatto che, nell’osservare i pipistrelli noi siamo più o meno nella stessa posizione che i pipistrelli intelligenti o i Marziani si troverebbero se avessero tentato di formare un concetto di cosa si prova ad essere noi. La struttura delle loro proprie menti potrebbe rendere impossibile per loro riuscire in questo, ma noi sappiamo che avrebbero torto a concludere che non si prova niente di preciso ad essere noi: che solo certi tipi generali di stati mentali potrebbero essere attribuiti a noi (forse la percezione e l'appetito sarebbero dei concetti comuni ad entrambi; forse). Sappiamo che sbaglierebbero a trarre una conclusione così scettica perché noi sappiamo cosa si prova ad essere noi. E sappiamo che mentre questo include un’enorme quantità di variazioni e complessità, e per quato non possediamo il vocabolario per descriverlo adeguatamente, il suo carattere soggettivo è estremamente specifico e, per certi aspetti, descrivibile nei termini che possono essere capiti solo da creature simili a noi. Il fatto che non possiamo aspettarci di fornire nella nostra lingua una descrizione dettagliata della fenomenologia del marziano o del pipistrello non dovrebbe condurci a congedare come insignificante l’asserzione che i pipistrelli e marziani hanno delle esperienze completamente paragonabili in ricchezza di dettaglio alla nostra. Sarebbe bello se qualcuno sviluppasse i concetti ed una teoria che ci permettesse di riflettere a queste cose; ma tale comprensione ci può essere permanentemente negata dai limiti della nostra natura. E negare la realtà o il significato logico di ciò che noi non possiamo descrivere o capire è la forma la più rozza di dissonanza cognitiva.

Questo ci porta al margine di un argomento che richiederebbe una discussione molto più ampia di ciò che io posso qui fare: cioè, la relazione tra i fatti da una parte e gli schemi concettuali o i sistemi di rappresentazione dall’altra. Il mio realismo circa il dominio soggettivo in tutte le sue forme implica una credenza nell'esistenza di fatti oltre la portata dei concetti umani [Ciò di cui non si è fatto esperienza in prima persona. Quante volte abbiamo sentito dire “tu non puoi capire perché non l’hai provato”, non tanto per le caratteristiche del soggetto quanto per quelle situazionali]. Certamente è possibile per un essere umano credere che ci sono dei fatti dei quali gli esseri umani mai possederanno concetti necessari per rappresentarli o comprenderli. Veramente, sarebbe stupido dubitare di questo, dato la limitatezza delle aspettative di vita dell’umanità. Dopotutto ci sarebbero stati numeri transfiniti anche se fossero stati tutti cancellati dalla Peste Nera prima che Cantor li avesse scoperti. Ma uno potrebbe anche credere che ci sono dei fatti che non potrebbero mai essere rappresentati o compresi dagli esseri umani, anche se le specie sopravvivessero per sempre—semplicemente perché la nostra struttura non ci permette di operare con i concetti  necessari per questo tipo. Quest'impossibilità potrebbe essere anche osservata attraverso altri esseri, ma non è chiaro quale esistenza di esseri, o possibilità di esistenza, è precondizione del significato dell'ipotesi che ci sono dei fatti umanamente inaccessibili (dopotutto, la natura di esseri con l'accesso a fatti umanamente inaccessibili è presumibilmente essa stessa un fatto umanamente inaccessibile). La riflessione su ciò che si prova essere un pipistrello sembra condurci, quindi, alla conclusione che ci sono dei fatti che non consistono nella verità di proposizioni esprimibili in una lingua umana. Possiamo essere obbligati a riconoscere l'esistenza di tali fatti senza essere in grado di specificarli o comprenderli.

Comunque, non perseguirò questo argomento. La sua rilavenza in questo contesto (cioè, il problema di mente-corpo) è che esso ci permette di fare un'osservazione generale sul carattere soggettivo dell’esperienza. Qualunque cosa sia lo stato dei fatti su cosa si prova ad essere un umo, o un pipistrello, o un marziano, questi appaiono essere fatti che ersprimono un punto di vista particolare.

Non alludo qui alla presunta esperienza privata di chi la compie. Il punto di vista in questione non è un accessibile solo al singolo individuo. Piuttosto è un tipo. Esso è spesso possibile per portare un punto di vista diverso dal proprio, dunque la comprensione di tali fatti non è limitata al proprio caso. C’è un senso in cui i fatti fenomenologici sono perfettamente oggettivi: una persona può sapere o dire qual è la qualità dell'esperienza dell'altro [Qui viene evidenziato l’aspetto oggettivo, quello che io definisco come il vero senso del termine coscienza]. Sono soggettivi, comunque, nel senso che anche questa attribuzione oggettiva dell’esperienza è possibile soltanto per qualcuno sufficientemente simile all'oggetto dell’attribuzione per essere in grado di adottare il suo punto di vista—di capire l’attribuzione in prima persona come pure in terza persona, per così dire. Quanto più  è diverso da se stesso l'altro soggetto dell’esperienza, tanto minore è il  successo che uno si può aspettare con questa operazione. Nel nostro caso noi occupiamo il punto di vista pertinente, ma avremo molta difficoltà a capire correttamente la nostra propria esperienza se l'avviciniamo da un altro punto di vista, come faremmo se tentassimo di capire l'esperienza di un'altra specie senza assumere il suo punto di vista.

Questo porta direttamente al problema  mente-corpo. Poiché, se i fatti dell’esperienza—i fatti su ciò che prova l’organismo che esperisce—sono accessibili soltanto da un punto di vista, allora è un mistero come il vero carattere delle esperienze potrebbe essere rivelato nel funzionamento fisico di quell'organismo. Quest’ultimo, è un dominio di fatti oggettivi per eccellenza— fatti che possono essere osservati e capiti da molti punti di vista e dagli individui con differenti sistemi percettivi. Non ci sono ostacoli immaginativi paragonabili all'acquisizione di conoscenza della neurofisiologia del pipistrello dagli scienziati umani, e pipistrelli intelligenti o marziani potrebbero imparare di più sul cervello umano di quanto potremo noi.

Questo non è di per se stesso un argomento contro la riduzione. Uno scienziato marziano che non capisce  di percezione visiva potrebbe comprendere l'arcobaleno, o il fulmine, o le nuvole  come dei fenomeni fisici, nonostante non sarebbe mai in grado di capire i concetti umani di arcobaleno, fulmine, o nuvola, o il luogo che queste cose occupano nel nostro mondo fenomenico. La natura oggettiva delle cose estrapolata da questi concetti potrebbe essere da lui compresa perché, sebbene i concetti sono collegati con un punto di vista particolare ed una visuale fenomenologia particolare, le cose non sono apprese da quel punto di vista: esse sono osservabili - dal punto di vista ma esterno a esso; quindi possono essere compresi anche dagli altri punti di vista, sia dallo stesso organismo sia da altri. Il fulmine ha un carattere oggettivo che non si esaurisce con la sua manifestazione visiva, e questo può essere investigato da un marziano privo della visione. Per essere preciso, esso ha un carattere più oggettivo di quanto non si rilevi nella sua manifestazione visiva. Nel parlare del movimento da soggettivo alla caratterizzazione oggettiva, desidero rimanere sul vago per quanto riguarda l'esistenza di un punto finale, cioè la natura intrinseca completamente oggettiva della cosa, quale uno potrebbe o non potrebbe essere in grado di raggiungere. Può essere più esatto pensare all’oggettività come una direzione nella quale la comprensione può viaggiare. E per capire un fenomeno come il fulmine, è legittimo allontanarci il più possibile da un punto di vista strettamente umano.

Nel caso dell’esperienza, d'altra parte, il collegamento con un punto di vista particolare sembra molto più stretto. È difficile capire ciò che potrebbe essere inteso per significato oggettivo di un'esperienza soggettiva, a il modo in cui il soggetto lo coglie. Dopotutto,cosa rimarrebbe di ciò che si prova ad essere come un pipistrello se uno toglie il punto di vista del pipistrello? Ma se l'esperienza soggettiva non ha, oltre al suo carattere soggettivo, una natura oggettiva che può essere compresa da molti punti di vista diversi, allora come si può supporre che un Marziano investigando il mio cervello possa osservare i processi fisici che sono i miei processi mentali (così come potrebbe osservare dei processi fisici che sono delle saette di fulmine), ma da un punto di vista diverso? Come potrebbe osservarli, per quanto riguarda ciò, un fisiologo umano da un altro punto di vista?

A quanto pare ci troviamo di fronte una difficoltà di carattere generale circa la riduzione psicofisica. In altri campi il processo di riduzione porta ad una maggiore oggettività, verso una veduta più esatta della reale natura delle cose. Questo è realizzato riducendo la nostra dipendenza da punti di vista dell'individuo o specie-specifici verso l'oggetto di indagine. Lo descriviamo non in termini delle impressioni che procura ai nostri sensi, ma in termini dei suoi effetti più generali e di proprietà rilevabili per mezzo di significati diversi dai sensi dell’essere umano. Meno dipende da un punto di vista specificatamente umano, più obbiettiva è la nostra descrizione. E’ possibile perseguire questo percorso perché, sebbene i concetti e le idee che impieghiamo nel pensare al mondo esterno, sono inizialmente applicati da un punto di vista che coinvolge il nostro dispositivo percettivo, essi sono usati da noi per fare riferimento alle cose oltre ad esso—verso cui possediamo un punto di vista fenomenico. Quindi possiamo abbandonare un punto di vista in favore di un altro, e tuttavia pensare delle stesse cose.

L’esperienza soggettiva in se stessa comunque, non sembra rientrare in questo modello. L'idea di movimento dall'apparenza alla realtà sembra qui senza senso. Qual è il percorso in questo caso per perseguire una più oggettiva comprensione degli stessi fenomeni abbandonando il punto di vista soggettivo iniziale in favore di un altro che è più obbiettivo ma che riguarda la stessa cosa? Certamente appare improbabile che noi saremo più vicini alla reale natura dell’esperienza umana lasciandoci dietro la particolarità del nostro punto di vista umano e sforzandoci per una descrizione nei termini accessibili ad esseri che non sono in grado di immaginare cosa si provi ad essere noi. Se il carattere soggettivo dell’esperienza è completamente comprensibile soltanto da un punto di vista, allora qualunque spostamento ad una oggettività maggiore—ciò è, meno attaccata a un punto di vista specifico—non ci porterà più vicino alla reale natura del fenomeno: ci porterà più lontano da esso.

In un senso, i semi di quest'obiezione al riduzionismo dell’esperienza sono già avvertibili nei casi riusciti di riduzione; infatti nello scoprire che il suono è, in realtà, un fenomeno di onda nell'aria o altro media, noi ci lasciamo dietro un punto di vista per prenderne un altro, e il punto di vista umano o animale che lasciamo dietro, rimane non-ridotto. Due membri di specie radicalmente differenti possono comprendere gli stessi eventi fisici nei termini oggettivi, e questo non richiede che essi capiscano le forme fenomeniche in cui quegli eventi appaiono ai sensi dei membri dell'altra specie. Così essa  è una condizione del loro fare riferimento a una realtà comune di cui, i loro punti di vista più particolari, non sono parte della realtà comune che loro entrambi comprendono. La riduzione può riuscire soltanto se il punto di vista specie-specifico è omesso da ciò che dev’essere ridotto.

Ma mentre abbiamo ragione di lasciare da parte questo punto di vista nella ricerca di una comprensione più piena del mondo esterno, non possiamo ignorarlo permanentemente, poiché è l'essenza del mondo interiore, e non semplicemente un punto di vista su di esso. Quasi tutto il neobehaviorismo della recente psicologia filosofica è il risultato dello sforzo di sostituire alla mente reale un concetto oggettivo di mente per non lasciare niente di non ridotto. Se riconosciamo che una teoria fisica della mente deve considerare il carattere soggettivo dell’esperienza, dobbiamo ammettere che nessuna concezione attualmente disponibile, ci dà un indizio di come questo potrebbe essere fatto. Il problema è unico. Se i processi mentali sono veramente dei processi fisici, allora si prova qualcosa, intrinsecamente, nel subire certi processi fisici. Che cosa sia questa cosa, rimane un mistero.

Quale morale dovrebbe essere tratta da queste riflessioni, e cosa dovrebbe essere fatto successivamente? Sarebbe un errore concludere che il fisicalismo deve essere falso. Niente è provato dall'inadeguatezza di ipotesi fisicaliste che assumono un'analisi oggettiva difettosa della mente. Sarebbe più giusto dire che il fisicalismo è una posizione che non possiamo capire perché noi non abbiamo al momento alcuna concezione di come potrebbe essere vero. Forse potrebbe essere irragionevole chiedere di possedere tale concezione come una condizione necessaria per capire. Dopotutto, si potrebbe dire che il significato del fisicalismo è abbastanza chiaro: gli stati mentali sono stati del corpo; gli eventi mentali sono eventi fisici. Non sappiamo quali stati fisici e quali eventi sono, ma ciò non dovrebbe impedire di capire l’ipotesi. Cosa ci potrebbe essere di più chiaro delle parole 'è’ e ‘sono’?

Ma io credo che sia precisamente questa chiarezza apparente della parola 'è’ che sia ingannevole. Di solito, quando ci dicono che X è Y sappiamo come è supposto per essere vero, ma ciò dipende da uno sfondo concettuale o teoretico e non è trasmesso dal solo ‘è’. Noi sappiamo in che modo sia "X" e "Y " riferiscono, ed il genere di cose a cui si riferiscono, ed abbiamo un'idea approssimativa di come i due percorsi referenziali potrebbero convergere su una singola cosa, sia esso un oggetto, una persona, un processo, un avvenimento o quant’altro. Ma quando i due termini dell'identificazione sono molto disparati, può non essere così chiaro come potrebbe essere vero. Dopotutto non potremmo neanche avere un'idea approssimativa di come i due percorsi referenziali potrebbero convergere, o su che genere di cose  potrebbero convergere, ed una struttura teoretica  dovrebbe esserci fornita per permetterci di comprendere questo. Senza la struttura, un'aria di misticismo circonderebbe l'identificazione.

Questo spiega il gusto magico delle  presentazioni popolari di fondamentali scoperte scientifiche, estrapolate come proposizioni alle quali uno deve sottostare senza averle  realmente comprese. Oggi, per esempio, alle persone viene detto sin da bambini che tutta la materia è in realtà energia. Ma malgrado il fatto che tutti sappiamo cosa significa ‘è’, la maggior parte di loro non si formerà mai una concezione di ciò che rende vera questa dichiarazione, perché manca una preparazione teorica.

Al presente  lo stato del fisicalismo è simile a quello che sarebbe stato l'ipotesi che la materia è energia se fosse stata pronunciata da un filosofo presocratico. Noi non abbiamo la più pallida idea di come il fisicalismo possa essere vero. Per capire l'ipotesi che un evento mentale è un evento fisico, è necessario qualcosa di più di una comprensione della parola ‘è’. Manca l'idea di come un termine mentale e uno fisico potrebbero fare riferimento alla stessa cosa, e le analogie comuni con le identificazioni teoretiche in altri campi non ci consentono di fornirla. Falliscono perché se interpretiamo il riferimento di termini mentali a eventi fisici sul modello consueto, noi otteniamo o una riapparizione di eventi soggettivi separati come effetti attraverso cui è ottenuto il riferimento mentale agli eventi fisici, o altrimenti noi otteniamo una falsa descrizione di come i termini mentali (per esempio, quello causale di un comportamentista).

Abbastanza paradossalmente, noi possiamo avere la prova della verità di qualcosa che non possiamo capire realmente. Supponiamo un bruco chiuso a chiave in un recipiente sterilizzato, con qualcuno che non ha familiarità con la metamorfosi di un insetto, e settimane dopo riaprendo il recipiente, scopre una farfalla. Se la persona sa che il recipiente è stato chiuso per tutto il tempo, ha ragione di credere che la farfalla è o era una volta il bruco, senza avere alcuna idea di come possa essere avvenuto (una possibilità è che il bruco conteneva  un piccolo parassita alato che l’ha divorato ed è diventato farfalla).

E’ concepibile che noi siamo in tale posizione per quanto concerne il fisicalismo. Donald Davidson ha argomentato che se gli eventi mentali hanno cause ed effetti fisici, loro devono avere descrizioni fisiche. Egli sostiene che abbiamo ragione di  credere questo anche se non abbiamo—e infatti non potremmo averla — una teoria psicofisica generale. Il suo ragionamento si applica agli eventi mentali intenzionali, ma penso che noi abbiamo anche ragione per credere che le sensazioni siano dei processi fisici, senza essere  in grado di capire come. La posizione del Davidson è che  certi eventi  fisici hanno delle proprietà mentali irriducibilmenti, e forse una visione descrivibile  in questa maniera è corretta. Ma  niente di cui ora possiamo formare un concetto corrisponde ad essa; né abbiamo alcuna idea di come sarebbe una teoria che sarebbero capace  di farcelo concepire.

Molto poco lavoro è stato fatto sulla domanda fondamentale (dalla quale la  menzione del cervello può essere omessa interamente) se qualche senso può essere all’ipotesi che le esperienze soggettive abbiano un qualche  carattere oggettivo. In altre parole ha senso che io mi chieda come sono realmente le mie esperienze, rispetto a come loro appaiono a me? Non possiamo capire autenticamente l'ipotesi che la loro natura è catturata in una descrizione fisica a meno che non capiamo la più fondamentale idea che esse hanno una natura oggettiva (o che i processi oggettivi possono avere una natura soggettiva).

Io avrei piacere di chiudere con una proposta speculativa. Essa può essere possibile per avvicinare il divario tra soggettivo ed oggettivo da un'altra direzione. Mettendo da parte temporaneamente la relazione tra mente e cervello, possiamo perseguire una più  oggettiva comprensione del mentale di per sè. Al momento siamo completamente non equipaggiati per  pensare al carattere soggettivo di esperienza senza affidarci all'immaginazione—senza portare il punto di vista del soggetto esperienziale. Questo dovrebbe essere considerato come una sfida per formare i concetti nuovi e progettare un metodo nuovo—una fenomenologia oggettiva che non dipendente dall'empatia o dall'immaginazione. Sebbene presumibilmente esso non catturerebbe ogni cosa, il suo scopo sarebbe di descrivere, almeno in parte, il carattere soggettivo delle esperienze in una forma comprensibile agli esseri incapaci di avere quelle esperienze.

Dovremmo sviluppare tale fenomenologia per descrivere le esperienze sonar dei  pipistrelli; ma sarebbe anche possibile  iniziare con gli esseri umani. Uno potrebbe tentare, per esempio, di sviluppare concetti che potrebbero essere usati per spiegare a una persona cieca dalla nascita cosa si prova a vedere. Prima o poi ci sitroverà di fronte ad un muro , ma dovrebbe essere possibile progettare un metodo di espressione in termini oggettivi molto più di ciò che  possiamo al momento, e con precisione più grande. Le analogie intermodali disponibili—per esempio, 'Il rosso è come lo squillo di una tromba' — raccolte nei dibattiti su questo oggetto sono di poca utilità. Ciò dovrebbe essere chiaro a chiunque abbia  sentito una tromba e visto il rosso. Ma le caratteristiche strutturali della percezione potrebbero essere più accessibili alla descrizione oggettiva, anche se qualcosa sarebbe lasciato fuori. E concetti alternativi a quelli che noi   impariamo in prima persona possono permetterci di arrivare ad una sorta di comprensione anche della nostra propria esperienza la quale ci è negata dalla facilità di descrizione e mancanza di distanza che i concetti soggettivi consentono.

A prescindere dal proprio interesse, una fenomenologia, che fosse in questo senso oggettiva, potrebbe consentire una forma più intelligibile agli interrogativi sulle basi fisiche dell’esperienza. Gli aspetti dell’esperienza soggettiva che ammetterebbero questo tipo di descrizione oggettiva potrebbero essere i migliori candidati  per le spiegazioni oggettive di genere più familiare. Ma che questa supposizione sia corretta o meno, sembra improbabile che qualche teoria fisica della mente possa essere proposta finché sono presenti più pareri al problema generale del soggettivo e dell’oggettivo. Diversamente, noi non possiamo neppure porre il problema  mente-corpo senza eluderlo.

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